domenica 28 febbraio 2010

Wolfman


Torno al cinema dopo quasi un mese di assenza dovuto ad impegni vari: sabato sera, il cinema pieno, le sale dei film rispettabili (Invictus e Codice Genesis) piene, rimane solo lo spettacolo tardo di Wolfman. Beh insomma, Benicio del Toro, Antony Hopkins, licantropi che non prevedano Taylor Lautner senza maglietta, possiamo dargli una chance.

Pessima scelta. Wolfman è uno di quei film di cui non si riesce a capire bene il genere. Parla di licantropi, dovrebbe essere un horror. Utilizza quella fastidiosa tecnica da "salto sulla sedia" per cui improvvisamente l'impianto stereo del cinema ha un'impennata improvvisa ed una faccia spaventosa appare sullo schermo, e la usa a piene mani, come ogni pessimo horror. Ma non fa neppure lontanamente paura, per cui non è un horror. Non fa ridere, per cui non è una parodia, la storia d'amore è prevedibilissima e non fa vibrare alcun tipo di corda sentimentale per cui non è una storia d'amore, non ha la minima tensione per cui non è un thriller. E' un pasticcio noioso, scontato, splatter su livelli infimi, di cui si salva solo Emily Blunt, bella e brava come al solito. Antony Hopkins crea un personaggio inconsistente, le cui motivazioni sono illogiche. Benicio Del Toro è un licantropo atipico per colori ed espressioni, di cui si salva solo l'estrema figaggine. Insomma, da evitare.

Commenti da segnalare in sala: la tipa dietro di me alla fine è prorotta con un "Underworld è cinquecento volte meglio. E questo da tutta l'idea della qualità del film, visto che Underworld è probabilmente l'unico film al mondo in grado di rendere davvero noioso lo scontro fra vampiri e licantropi.

Ravioli fritti al cioccolato

Uno dei miei blog preferiti, quello di Bunny Chan, ha una sua piccola rubrica di cucina che mostra le creazioni della proprietaria, allieva del corso del Gambero Rosso. Piacerebbe anche a me poter fare una cosa del genere, senonchè io non sono neppure lontanamente in grado di cucinare come si deve. La mia cucina si limita a soluzioni di emergenza, a costo limitato a ed impegno che rasenta lo zero. E allora perchè non mostrare le piccole sciocchezze che si possono cucinare nella vita da studente fuori sede, per mostrare un pò di colore in cucina quando le possibilità sono scarse? Ecco che vi mostro la pazzia di questo week end: i ravioli dolci di Giovanni Rana al gusto bacio. Ci sono voluti due mesi di ricerche per centri commerciali per trovarli, nascosti bene nello scaffale frigo del Pam vicino casa. Tra le varie preparazioni indicate nella scatola ho optato per la frittura: per la serie, se dobbiamo fare uno strappo alla dieta facciamolo pieno. Il tempo di preparazione è ridicolo, dieci minuti fra il far scaldare l'olio e la frittura vera e propria. Sopra un pò di panna, risultato? Deludente. Buoni sono buoni, da provare una volta sola per dire li ho provati, da dimenticare dieci minuti dopo. Massimo impatto estetico però, la mia coinquilina aveva la bava alla bocca prima di assaggiarli. Mostro giusto una fotina del risultato con la panna e mi preparo alla prossima ricetta low cost per la settimana prossima.

martedì 23 febbraio 2010

L'unica al mondo a pensare che le T.AT.U. fossero davvero lesbiche...


Non sono una persona con grandissime passione musicali ma se devo perdere un pò di tempo su youtube ad ascoltare musica mi butto sempre sulle canzoni di fine anni 90, primi anni 2000. Sono le canzoni della mia adolescenza e e le ricollego comunque ad un periodo piuttosto emozionante.

Stamattina mi sentivo in mood nostalgico e dal cappelo chi ho tirato fuori? Le T.A.T.U., meglio conosciute come le due cantanti lesbiche russe che cantavano "all the things she said". Io adoravo le T.A.T.U.. Non perchè le ritenessi un grande simbolo di emancipazione del mondo omosessuale (e ci mancherebbe) o perchè fossi rimasta particolarmente colpita dalle loro performance sul palco (indimenticabile però quella a TRL Italia con, sotto al palco, diverse coppiette di ragazze che si sbaciucchiavano in segno di grande libertà). Ma ricordo che mi piaceva il fatto che le loro canzoni parlassero sempre di coppie che vivevano le peggiori difficoltà, unite da un affetto incomprensibile ai più, dove il resto del mondo non contava. Del resto avevo diciassette anni.

In particolare mi piaceva "How soon is now", quando per me era solo la "cover della sigla di streghe" e ancora non sapevo che invece era la cover di una cover degli Smiths. La canzone è di una tristezza disarmante: parla di solitudine, di qualcuno che non riesce a trovare compagnia neppure girando per locali e che ha come unica compagnia una timidezza"criminalmente volgare". Ne ero terribilmente innamorata.

Oggi ho provato ad ascoltarla dopo anni: sembrava che a cantarla fossero Alvin e i Chipmuncks. E così tutte le loro canzoni: un utilizzo del sintetizzatore, che neanche Britney ai tempi di Gimme more. E ci sarebbe da soffermarsi sulle foto della moretta con il pancione, poco prima del nuovo album, quando era oramai evidente che non fosse possibile fingere l'omosessualità. Che diamine, io ci credevo che fossero lesbiche. Non che la cosa mi toccasse, ma pensavo che fosse vero. E invece era una sorta di sceneggiata porno, con al centro due minorenni. Una sorta di strumento di richiamo per le masse adolescenziali confuse.

Eppure a rivedere le immagini del video, con loro tutte tenere l'una con l'altra, che fingevano momenti di vera vita lesbica mi fanno tenerezza, e non posso fare a meno di provare di riflesso tenerezza per me adolescente. Quando poteva sembrare davvero possibile che due ragazze omosessuali osteggiate dai genitori diventino parte di un gruppo soft core famoso in tutto al mondo.

domenica 21 febbraio 2010

Peggy Lee e Centocelle

Decidere il titolo di un blog è forse una delle cose più difficili che si devono fare nel momento in cui si ha intenzione di entrare in una comunità virtuale. Perchè sai che, insomma, gli argomenti di cui parlerai li cambierai di volta in volta, il template varierà di sicuro, così come tutti quei gadget che trovi a lato della pagina. Ma il titolo rimarrà lì e darà per sempre una caratterizzazione al tuo blog e a quello che scrivi.

Nel mio caso è stata una scelta più semplice del previsto. Mentre vagavo sulla rete alla ricerca di spunti vari, windows media player, messo come al solito con l'opzione random, ha fornito inaspettatamente l'ispirazione. Le note di black coffee, una vecchia canzone di Peggy Lee, si sono diffuse per la stanza ed è stata come un'illuminazione. Non mi sono soffermata sul testo ma sull'atmosfera di leggera decadenza che emanava dalla stessa canzone. Questa donna, che non potevo fare a meno di immaginare in bianco e nero, elegante e con la tipica lunga sigaretta degli anni venti, passava il suo tempo ad aspettare il ritorno del suo uomo bevendo caffè nero e fumando sigarette, senza spazio per null'altro che non sia il lutto per il suo amore perduto. Tutto in una delicata atmosfera vintage, tessuti pregiati e profumi cipriati. Mi è piaciuta talmente tanto da voler riprendere una parte del testo nel titolo.

Perchè aggiungere Roma? Perchè ci vivo, ovvio. Ci vivo oramai da quasi sei anni ma ancora non la sento mia. La vivo, spesso lontana dai riflessi glamour turistici, mi ci sono affezionata, ma non la amo. Ma è comunque lo sfondo della mia vita attuale e non potevo fare a meno di nominarla.

Ieri per esempio è stato un tipico esempio di giornata molto romana e molto poco glamour, parecchio lontana dall'atmosfera di Peggy Lee. Mi sono trovata a pensarlo mentre, poco prima di pranzo, bevevo il mio primo bicchiere di martini rosato nella cucina di un amico del mio ragazzo, su un tavolo sporco, smangiucchiando olive giganti. La vista era quella della Laurentina e dei suoi palazzoni, molto diversa da quella del cupolone di San Pietro che si vede nella pubblicità.

E la sensazione si è fatta ancora più concreta mentre mi trovavo con amici di amici a bere il the in una gelateria un pò scassata di Centocelle. Centocelle è probabilmente l'esempio più vivo di quando parlo della Roma poco turistica, molto più vicina alla vita vera. Un quartiere casinaro e pacchiano, con i ragazzetti con la smart pompata, i negozietti con vestiti di tessuti improbabili e a prezzo bassissimo, i kebabbari ad ogni angolo e nessun monumento. La gelateria era una sorta di bar in malo arnese, con la cameriera che non aveva neanche idea di cosa fossero i litchi indicati nel menù e davanti alla quale un gruppo di diciottenni con un paio di canne in mano si pavoneggiava con la bmw presa in prestito dal padre.

Mai come in questo caso sarebbe corretto dire che spesso realtà e fantasia nella mia vita non coincidono affatto.
 
Wordpress Theme by wpthemescreator .
Converted To Blogger Template by Anshul .