giovedì 1 aprile 2010

La mia Luisa


In questi giorni mi sono laureata. Il giorno fatidico è arrivato dopo mesi e mesi di lavoro concentrato solo sulla tesi, senza nessun altro compito, per cui messi da parte i vestiti della festa sono stata costretta a riprendere in mano le cose pratiche della mia vita.
E per una volta mi sono trovata a concordare con mio padre che nel suo molto toccante discorso post laurea mi invitava a diventare una persona cresciuta, non solo sulla base del titolo ma anche in tutti gli altri campi tra cui , ha avuto da sottolineare, ha la sua preminenza il look.

Ora capiamoci, la mia vita universitaria è sempre stata molto casual: una marea di camminate, tanti giri sull'autobus, localini a prezzi stracciati al pigneto, per cui il mio abbigliamento è sempre stato, per lo meno per il giorno, molto intonato alle situazioni. Una miriade di t-shirt colorate da zara e Bershka, scarpe da tennis estrose, coprispalle di cotone, cardigan semplici, stivali raso terra e una miriade di borse di grandi dimensioni da H&M e Coin. Per la sera invece viva l'aspetto estroso, per cui decoltè colorate, borchie, vestiti neri e orecchini vistosi.
Tutto ciò con l'essere un avvocato non c'entra una cippa ahimè. Proprio per questo ho deciso di cambiare radicalmente stile, cercando di esaltare quella nascosta parte elegante che c'è in me. il regalo per inaugurare questa nuova era non poteva che provenire dalla mecca ufficiale della moda romana, ovvero via Condotti.

Due giorni dopo la laurea mi sono infilata di soppiatto da Gucci, Burberry e Vuitton alla ricerca di una borsa che cambiasse il mio stile. Questo mantenendosi fedele al mio stile di vita, che non prevede molto feste di lusso ma una marea di camminate diurne. Scartato Burberry perchè tutte le borse di una certa dimensione erano decisamente troppo particolari e dopo due anni avrebbero sicuramente urlato "provengo dal 2010 e la mia padrona è così povera da non potermi sostituire" e Gucci perchè i modelli classici con le G su tutta la borsa sono particolarmente di moda nelle bancarelle di centocelle ho, per così dire, ripiegato su Vuitton.
L'oggetto del mio desiderio era molto banalmente la Never Full MM, 470 euro di tela damier (lungi da me il classico monogram, imitato praticamente in ogni dove) e capienza illimitata. Quando la commessa me l'ha fatta esaminare mentirei se dicessi che è stato amore a prima vista. Mai come in quel momento ho capito cosa vuol dire potere del marchio: da coccinele probabilmente per la stessa cifra avrei potuto acquistare una borsa moooolto più bella e rifinita, e non essenziale come quella, che a malapena ha all'interno una tasca per mettere il cellulare ed il portafoglio e con i soldi rimasti avrei forse potuto permettermi anche un portafoglio. Ma non ero lì per comprare la bellezza ahimè, ma immagine. Quella era una borsa che avrei potuto sfruttare per anni e anni senza che perdesse un briciolo della sua eleganza e del suo urlare "lusso, lusso", anche se chiaramente lusso per poveri, visto che un vero ricco non andrebbe mai su un modello così basic.
Così ho tirato fuori il portafoglio e adesso la mia borsa mi guarda felice dalla sedia della mia cameretta. Comoda è comoda, per non dire comodissima, ampia com'è e fa il suo effetto con le persone che incontri per strada. Ma non posso fare a meno di pensare che ho snaturato tutte le mie convinzioni in materia di rapporto qualità/prezzo.
Pazienza. A questo punto ho deciso di puntare alla triade: la prossima sarà il bauletto di Burberry e poi arriverà la clutch di Gucci. Si può dire che con la laurea ho perso la mia innocenza in materia di stile e c'è da sperare che i regali di laurea a venire siano di una consistenza tale da potermi permettere di concretizzare il mio nuovo cinismo.

venerdì 19 marzo 2010

Desaparecida

Una inizia il suo blog armata delle migliori intenzioni, ci mette le fotine ed i link, si mette d'impegno a commentare negli altri blog e poi, molto semplicemente, viene travolta dalla vita reale che le impedisce di anche solo pensare a cosa scrivere.

In queste ultime due settimane ho fatto davvero di tutto un pò: dal partecipare ad un incontro di boxe a cucinare strani piatti esotici, da un piccolo salto a Parigi, che ho gustato come non mai, all'acquisto dell'abito che userò per discutere la mia tesi la prossima settimana.

Lo stimolo per scrivere è venuto però non da tutti questi fatti ma da un video musicale: Telephone di Lady Gaga. E' da ieri che non faccio che vederlo e rivederlo ossessivamente. Sarà perchè qualsiasi filmato contenga al suo interno la Pussy Wagon di Kill Bill merita la mia più incondizionata attenzione, sarà perchè lo stile ha molto di Tarantino, sarà perchè persino per me che sono etero Beyoncè è particolarmente strafiga in versione Thelma e Louise, sarà perchè è talmente kitsch e trash da diventare arte. Ma io lo amo, che ci posso fare?

venerdì 5 marzo 2010

«Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo.»



Una delle cose meravigliose di Roma è data dalle mostre che la affollano, dì ogni tipo e periodo. Questa settimana ho avuto modo di visitare quella di Hopper al palazzo Reale, pittore americano della prima metà del novecento.

Le opere di Hopper mi hanno colpito sin dai tempi del liceo: la sua rappresentazione dell'America è lotana dalle immagini tipiche del sogno americano e non hanno niente a che vedere con le strade affollate di New York o con le spiagge rumorose di Los Angeles. La sua America è quella soleggiata del sud, dei fienili e dei tetti delle case. Il silenzio la domina e la luce che la illumina è spesso quella impetosa del mezzogiorno. Nel mezzo si trovano figure isolate che non compiono alcuna attività, che rimangono ferme a guardare, tremendamente sole.

La mostra raccoglie diverse opere che illustrano questi aspetti, anche se non mancano opere di taglio diverso, che rappresentano paesaggi francesi o autoritratti. E' assolutamente perfetta per chi vuole vedere gli Stati Uniti sotto una luce diversa, lontana dai soliti riflettori e per chi vuole gustare il sapore della solitudine attraverso delle opere di indubbio valore.

Flash Mob

Era tantissimo tempo che speravo di poter partecipare ad un flash mob e finalmente è capitata l'occasione martedì scorso, al flah mob che si è tenuto fra piazza del popolo e piazza di Spagna.
Ahimè si è trattata di una cosa fatta tremendamente all'italiana: il programma era di ballare nel percorso fra le due piazze e di fare un gigantesco freeze a piazza di Spagna. C'era però tantissima gente, tanta che non è stato neppure possibile ballare. Arrivati a Piazza di Spagna nessuno ha sentito il segnale per il freeze e tutti hanno semplicemente iniziato a fare casino e a cantare il solito poporopopopo.
Questo non significa però che non sia stato divertente: è stato un pò come ritornare alle occupazioni del liceo, immerse nella folla oceanica e sopratutto nello stupore della gente che ci guardava perplessa, fermandoci per chiederci cosa stesse succedendo. Era un pò come essere parte di un qualcosa di più grande che apparteneva ad un gruppo limitato di persone, una cosa senza senso, fatta solo per divertirsi.
Ecco un paio di foto per permettere anche a chi non c'eraadi capirela portata dell'evento.
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domenica 28 febbraio 2010

Wolfman


Torno al cinema dopo quasi un mese di assenza dovuto ad impegni vari: sabato sera, il cinema pieno, le sale dei film rispettabili (Invictus e Codice Genesis) piene, rimane solo lo spettacolo tardo di Wolfman. Beh insomma, Benicio del Toro, Antony Hopkins, licantropi che non prevedano Taylor Lautner senza maglietta, possiamo dargli una chance.

Pessima scelta. Wolfman è uno di quei film di cui non si riesce a capire bene il genere. Parla di licantropi, dovrebbe essere un horror. Utilizza quella fastidiosa tecnica da "salto sulla sedia" per cui improvvisamente l'impianto stereo del cinema ha un'impennata improvvisa ed una faccia spaventosa appare sullo schermo, e la usa a piene mani, come ogni pessimo horror. Ma non fa neppure lontanamente paura, per cui non è un horror. Non fa ridere, per cui non è una parodia, la storia d'amore è prevedibilissima e non fa vibrare alcun tipo di corda sentimentale per cui non è una storia d'amore, non ha la minima tensione per cui non è un thriller. E' un pasticcio noioso, scontato, splatter su livelli infimi, di cui si salva solo Emily Blunt, bella e brava come al solito. Antony Hopkins crea un personaggio inconsistente, le cui motivazioni sono illogiche. Benicio Del Toro è un licantropo atipico per colori ed espressioni, di cui si salva solo l'estrema figaggine. Insomma, da evitare.

Commenti da segnalare in sala: la tipa dietro di me alla fine è prorotta con un "Underworld è cinquecento volte meglio. E questo da tutta l'idea della qualità del film, visto che Underworld è probabilmente l'unico film al mondo in grado di rendere davvero noioso lo scontro fra vampiri e licantropi.

Ravioli fritti al cioccolato

Uno dei miei blog preferiti, quello di Bunny Chan, ha una sua piccola rubrica di cucina che mostra le creazioni della proprietaria, allieva del corso del Gambero Rosso. Piacerebbe anche a me poter fare una cosa del genere, senonchè io non sono neppure lontanamente in grado di cucinare come si deve. La mia cucina si limita a soluzioni di emergenza, a costo limitato a ed impegno che rasenta lo zero. E allora perchè non mostrare le piccole sciocchezze che si possono cucinare nella vita da studente fuori sede, per mostrare un pò di colore in cucina quando le possibilità sono scarse? Ecco che vi mostro la pazzia di questo week end: i ravioli dolci di Giovanni Rana al gusto bacio. Ci sono voluti due mesi di ricerche per centri commerciali per trovarli, nascosti bene nello scaffale frigo del Pam vicino casa. Tra le varie preparazioni indicate nella scatola ho optato per la frittura: per la serie, se dobbiamo fare uno strappo alla dieta facciamolo pieno. Il tempo di preparazione è ridicolo, dieci minuti fra il far scaldare l'olio e la frittura vera e propria. Sopra un pò di panna, risultato? Deludente. Buoni sono buoni, da provare una volta sola per dire li ho provati, da dimenticare dieci minuti dopo. Massimo impatto estetico però, la mia coinquilina aveva la bava alla bocca prima di assaggiarli. Mostro giusto una fotina del risultato con la panna e mi preparo alla prossima ricetta low cost per la settimana prossima.

martedì 23 febbraio 2010

L'unica al mondo a pensare che le T.AT.U. fossero davvero lesbiche...


Non sono una persona con grandissime passione musicali ma se devo perdere un pò di tempo su youtube ad ascoltare musica mi butto sempre sulle canzoni di fine anni 90, primi anni 2000. Sono le canzoni della mia adolescenza e e le ricollego comunque ad un periodo piuttosto emozionante.

Stamattina mi sentivo in mood nostalgico e dal cappelo chi ho tirato fuori? Le T.A.T.U., meglio conosciute come le due cantanti lesbiche russe che cantavano "all the things she said". Io adoravo le T.A.T.U.. Non perchè le ritenessi un grande simbolo di emancipazione del mondo omosessuale (e ci mancherebbe) o perchè fossi rimasta particolarmente colpita dalle loro performance sul palco (indimenticabile però quella a TRL Italia con, sotto al palco, diverse coppiette di ragazze che si sbaciucchiavano in segno di grande libertà). Ma ricordo che mi piaceva il fatto che le loro canzoni parlassero sempre di coppie che vivevano le peggiori difficoltà, unite da un affetto incomprensibile ai più, dove il resto del mondo non contava. Del resto avevo diciassette anni.

In particolare mi piaceva "How soon is now", quando per me era solo la "cover della sigla di streghe" e ancora non sapevo che invece era la cover di una cover degli Smiths. La canzone è di una tristezza disarmante: parla di solitudine, di qualcuno che non riesce a trovare compagnia neppure girando per locali e che ha come unica compagnia una timidezza"criminalmente volgare". Ne ero terribilmente innamorata.

Oggi ho provato ad ascoltarla dopo anni: sembrava che a cantarla fossero Alvin e i Chipmuncks. E così tutte le loro canzoni: un utilizzo del sintetizzatore, che neanche Britney ai tempi di Gimme more. E ci sarebbe da soffermarsi sulle foto della moretta con il pancione, poco prima del nuovo album, quando era oramai evidente che non fosse possibile fingere l'omosessualità. Che diamine, io ci credevo che fossero lesbiche. Non che la cosa mi toccasse, ma pensavo che fosse vero. E invece era una sorta di sceneggiata porno, con al centro due minorenni. Una sorta di strumento di richiamo per le masse adolescenziali confuse.

Eppure a rivedere le immagini del video, con loro tutte tenere l'una con l'altra, che fingevano momenti di vera vita lesbica mi fanno tenerezza, e non posso fare a meno di provare di riflesso tenerezza per me adolescente. Quando poteva sembrare davvero possibile che due ragazze omosessuali osteggiate dai genitori diventino parte di un gruppo soft core famoso in tutto al mondo.
 
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